15 marzo 2014
Per moltissimi aspetti la storia di Giona è simile alla storia di molti predicatori che, pur sapendo di essere al servizio di Dio, troppe volte contestano i suoi piani, pensando di essere più saggi di lui e di antivedere in modo infallibile taluni eventi: «L’avevo previsto, io!». La storia di Giona narra di un uomo al servizio del Signore, che viene inviato ad annunciare alla grande città (Ninive) l’imminente punizione celeste, previo ravvedimento dei suoi abitanti. Di tale missione Giona non solo non menava vanto ma si sentiva oltremodo appesantito, per le pessime figure che spesso era chiamato ad affrontare ogni volta che i ripensamenti divini modificavano i destini: «Sapevo che sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all’ira, di gran benignità, e che ti penti del male minacciato» (Gio 4:2). Non erano le stesse parole usate da Gioele (2:13)? E come mai adesso disapprovava i voltafaccia del Signore, solo per difendere un proprio prestigio che non veniva di certo contestato per una catastrofe evitata? Chi era poco serio tra i due: Dio o Giona?
Sappiamo tutti come la storia di Giona finì, e come l’Eterno – con immensa pazienza – lo riconducesse alla ragione. Era verissimo che Dio spesso minaccia e raramente concretizza, ma non possiamo certo pensare al bluff. Dio minaccia, ma condizionando ogni volta l’applicazione della severità all’eventualità che, mutate le circostanze, possano anche modificarsi i termini stessi del giudizio.
Quando il Signore preannunciò ad Abramo la distruzione di Sodoma, al patriarca sembrò quanto meno esagerato che si colpisse un’intera città dove forse vivevano tanti giusti. Piano piano, però, Abramo si convinse che tutti quei giusti da lui ipotizzati, non erano di certo tanti (Gn 18:16-34).
Non si deve mai pensare che Dio faccia di tutt’erba un fascio, colpendo indiscriminatamente buoni e cattivi. L’Eterno conosce molto bene, e molto meglio di tutti noi, quello che va detto e fatto per la nostra salvezza. E se c’è chi lo fa, il processo s’arresta. Giona, perlomeno, ambiva a ritirarsi e fuggire lontano, anziché andare a raccontare alla gente che Dio abbaia ma non morde. Tanti predicatori, invece, fanno proprio questo parlando dell’amore di Dio, incondizionato, illudendo così la gente, quasi che la severità del Signore non sia altrettanto scritturale quanto lo è la Sua benignità. Ecco, sarebbe preferibile ritirarsi e fuggire lontano, piuttosto che turlupinare le persone dicendo che Dio si contenta di pochissimo, che “basta credere” … e la garanzia della vita eterna sarà assicurata.
Che Dio abbia dato il suo unigenito Figlio per la salvezza di tutti i peccatori, è innegabile (Gv 3:16); altrettanto innegabile è che Dio vuole che tutti siano salvati e vengano a conoscenza della verità (1Tm 2:4). Grandissimo è dunque il dono divino in Cristo Gesù nostro Signore. Ma questo dono divino va visto come un incentivo a mutare rotta, cioè a quella conversione che caratterizzò anche il mutamento della decisione contro Ninive la grande: «Ognuno si converta dalla sua via malvagia, e dalla violenza perpetrata dalle sue mani. Chissà che Dio non si volga, non si penta, e non acquieti l’ardente sua ira, sicché noi non periamo?». Queste parole non furono pronunciate da Giona, ma dal re di Ninive (Gio3:8-9). Secondo la logica di quel monarca, se si fossero pentiti … anche Dio si sarebbe pentito. Il pentimento divino, visto da Giona e visto dal re di Ninive, assumeva significati paradossali per il primo (Giona) e, apportatori di grandi speranze per il secondo (il re assiro).
La parabola degli operai dell’ultima ora (Mt 20:1-16) insegna che se Dio vuole essere buono con chi si ravvede, non dobbiamo disturbarcene. Il che non vuole certo dire che si debba andare in giro a convincere la gente che tutto finirà a tarallucci e vino, come accade fra i buontemponi. Come Giona, anche noi siamo inviati a predicare, sotto l’aspetto spirituale, cataclismi, distruzioni e perdizione eterna, ma anche che la cosa si potrebbe rivedere, e la decisione addirittura ribaltarsi, mediante il mutamento di percorso netto e definitivo, con la morte al peccato, per vivere in Cristo come persone nuove. Questo dev’essere l’oggetto della predicazione dei moderni Giona.
Alessandro Corazza (Roma)