15 marzo 2014
«Uno degli scribi … si avvicinò a Gesù e gli domandò: “Qual è il più importante di tutti i comandamenti?”. Gesù rispose: “Il primo è: Ascolta, Israele, il Signore, nostro Dio, è l’unico Signore. Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua» (Marco 12:28-29).
«Sono stato crocifisso con Cristo; e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me … Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri» (Galati 2:20; 5:24).
«Così, dunque, ognuno di voi, che non rinunzia a tutto quello che ha, non può essere mio discepolo» (Luca 14:33).
«Chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato» (Matteo 10:22).
«Chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me» (Matteo 10:38).
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Porsi al seguito di Gesù non è fatto indifferente nella vita di chi crede, ma implica – al contrario – una serie assai notevole di responsabilità. Essere discepoli del Signore esige un prezzo da pagare e una croce da portare, come del resto accade in molti aspetti della vita quotidiana, dove pressappoco nulla ci è regalato e occorre spesso durare molta fatica per tirare avanti.
Come spesso gli accadeva, il Signore descrisse i termini della questione facendo uso di parole crude, di netto stampo semitico, e molto espressive: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, e la moglie, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo» (Lc 14:26-27). Qui “odiare” vale “amare meno”. Allora, il senso della frase è: “chi non mi preferisce a” suo padre, a sua madre …
L’amore di un cristiano per il Signore ha assoluta priorità nella vita (Mc 12:29-30), al punto tale che, rimanendo nell’ambito semitico che predilige le forti contrapposizioni e poco conosce le sfumature, gli sembra di dover “odiare” tutto e tutti per amor suo. Portare la propria croce è tipico del discepolo di Gesù, giacché il Maestro ha portato la sua – certo assai più pesante di qualunque altra croce. Ora, per il credente, portare la croce rappresenta il tentativo di sacrificarsi in toto per il Regno di Dio e per il prossimo. Seguire Gesù è, allora, sinonimo di crocifiggere ogni altra cosa o persona per identificarsi in lui, con lui e per lui (vedi Gal 2:20; 5:24). Per spiegare compiutamente il costo della sequela, Gesù usa due chiare illustrazioni: da un lato, quella del costruttore di una casa (Lc14:28-30), dall’altro quella della preparazione in vista della battaglia (Lc 14:31-32).
Nel primo caso, l’idea è che per essere produttivi e costruttivi bisogna calcolare i costi prima di accingersi ad edificare. Ciò fatto, bisogna andare in fondo per finire la costruzione intrapresa, costi quel che costi. Nel secondo caso, la pratica militare insegna che, prima di entrare in guerra, è necessario calcolare con accuratezza tutti i possibili scenari e costi, dal momento che non si può vincere senza averne la forza. La qual cosa significa, per il cristiano, capire anzitempo che lo aspetta una dura battaglia.
Il Signore termina descrivendo la triste condizione di chi non ha calcolato i costi (Lc 14:33). Dio non è secondo a niente e nessuno. Per averlo, occorre pagare il prezzo più alto, assoluto: la nostra esistenza.
Arrigo Corazza