«LA FINE DI TUTTE LE COSE È VICINA» (1Pt 4:7). COME VIVERE NELL’ATTESA

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«LA FINE DI TUTTE LE COSE È VICINA» (1Pt 4:7). COME VIVERE NELL’ATTESA

1 ottobre 2021

 

«Per questo trovano strano che voi non corriate con loro agli stessi eccessi di dissolutezza e parlano male di voi. Ne renderanno conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti… La fine di tutte le cose è vicina; siate dunque moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera. Soprattutto, abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l’amore copre una gran quantità di peccati» (1Pt 4:4-5,7-8).

 

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Il passo di 1Pt 4:7 («La fine di tutte le cose è vicina; siate dunque moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera») fa parte di un contesto nel quale i cristiani sono esortati ad avere un atteggiamento simile a quello del Signore Gesù, che, per raggiungere la gloria dei cieli (1Pt 3:22), ha vissuto in modo esemplare, «non più nelle passioni degli uomini, ma secondo la volontà di Dio» (1Pt 4:2). Quelle che Pietro chiama «le cose desiderate dai gentili [dai non credenti nel Dio d’Israele]» – ossia le loro carnali e dissolute passioni, congiunte ad una prospettiva unicamente terrena della vita – non devono inquinare il modo di essere di chi desidera seguire Gesù. Coloro che non credono in lui «trovano strano» che altri vivano per una speranza celeste, e che in vista di quella si purifichino nell’anima; e non solo non li capiscono, ma spesso anche li deridono e li insultano, bestemmiando – apertamente o di fatto – lo Spirito di Dio (1Pt 4:4.14). Ma, come abbiamo già visto, «la fine di tutte le cose è vicina», e presto gli increduli «renderanno conto a colui il quale è pronto a giudicare i vivi e i morti» (1Pt 4:5).

Tutto ciò sembra fantasticheria a chi non crede nella Parola e nella potenza di Dio, e molti si fanno beffe della Bibbia e di chi ad essa s’affida. Gli scettici si limitano a constatare che il mondo va comunque avanti, e che è già passato molto tempo dalla venuta di Cristo: si tratta però – come sentenzia Pietro (2Pt 3:8) –, di persone che non tengono conto del fatto che «per il Signore un giorno è come mille anni, e mille anni come un giorno». Costoro non fanno propria la saggia considerazione che la pazienza divina è unicamente volta a dare ancora una possibilità di ravvedimento ad ogni uomo; poi, quando sarà decretata la fine, «il giorno del Signore verrà come un ladro di notte; in quel giorno i cieli passeranno stridendo, gli elementi si dissolveranno consumati dal calore e la terra e le opere che sono in essa saranno arse» (2Pt 3:10). Le conseguenze di questa prospettiva, ancora una volta, si rivelano – per chi la condivide con il Creatore – eminentemente pratiche, etiche, spirituali: «Poiché dunque tutte queste cose devono essere distrutte, come non dovreste voi avere una condotta santa e pia, mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno di Dio, a motivo del quale i cieli infuocati si dissolveranno e gli elementi consumati dal calore si fonderanno? Ma noi [noi cristiani, dice l’apostolo], secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia» (2Pt 3:11-13).

Come non riflettere, inoltre, sul fatto che, anche se il Signore non è ancora tornato a porre fine alla storia terrena dell’umanità intera, nel momento in cui un singolo uomo muore avviene, ai suoi personali effetti, la fine del mondo, di questo mondo, e costui si trova di fronte al Giudice Supremo? Scrive Giacomo: «Che cos’è … la vostra vita? In verità essa è un vapore che appare per un po’ di tempo, e poi svanisce» (Gc 4:14). Parlando agli apostoli, Gesù disse: «Ciò che dico a voi, lo dico a tutti: “Vegliate!”» (Mc 13:37).

Lo Spirito Santo e la «sposa» (ossia la Chiesa) invocano: «Vieni!» nei confronti del Signore Gesù, bramando il suo ritorno, ed egli risponde: «Sì, vengo presto. Amen». E Giovanni conclude la rivelazione biblica scrivendo: «Sì, vieni, Signore Gesù. La grazia del Signore Gesù Cristo sia con tutti voi. Amen» (Ap 22:17- 21). Lo stesso Giovanni, nella prima delle sue tre lettere, si rivolge ai discepoli incoraggiandoli ad apprezzare la dignità, la grazia e la gioia di poter essere chiamati, in Cristo, «figli di Dio», facenti parte della sua famiglia («adottati come suoi figli per mezzo di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà», scrive Paolo in Ef 1:5); conscio, inoltre, del fatto che nell’attuale mondo, accecato dal peccato, «non è stato ancora manifestato ciò che siamo», Giovanni aggiunge, scrivendo ai fratelli in Cristo: «Sappiamo però che quando egli sarà manifestato [quando il Signore tornerà], saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è. E chiunque ha questa speranza in lui, purifichi se stesso, come egli è puro» (1Gv 3:1-3).

Anche Paolo, nella prima parte di 1Ts 5, riprende la nota similitudine già usata da Gesù (Lc 12:39, Ap 3:3, 16:5) e paragona il ritorno del Cristo alla venuta improvvisa di un ladro nella notte (quando chi non veglia viene colto impreparato); per questo motivo invita i cristiani a non dormire, cioè a non essere spiritualmente apatici, pigri, o addirittura morti; solo coloro che si preparano adeguatamente saranno trovati santificati nell’intero loro essere, «spirito, anima e corpo … irreprensibili per la venuta del Signor nostro Gesù Cristo» (1Ts 5:23). La grazia di Dio, infatti, che ha messo a disposizione di chiunque lo voglia un perdono totale e immeritato, grazie al sacrificio del Signore Gesù, «ci insegna a rinunziare all’empietà e alle mondane concupiscenze, perché viviamo nella presente età saggiamente, giustamente e piamente, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e purificare per sé un popolo speciale, zelante nelle buone opere» (Tt 2:12-14).

Quando il cristiano parla di “escatologia”, ossia dell’insieme delle concezioni riguardanti il fine ultimo dell’umanità e dell’universo (dal greco éskhatos, “estremo” e – logia, “discorso”), lo fa sempre con la volontà di ricercare e comprendere le autentiche dottrine bibliche al riguardo, con lo scopo di credere e vivere la volontà di Dio, cioè di far sì che la retta teoria si traduca il più possibile in una prassi retta, in uno stile di vita confacente a quanto si impara dalla Parola divina.

Ciò che conta, per il discepolo di Cristo, è giungere al punto di poter dire e sentire dentro di sé, assieme a Paolo, così: «Per me infatti vivere è Cristo, e il morire guadagno», e di essere soddisfatto di rimanere su questa terra finché ha un compito da svolgere per il Signore, ma ancor più felice di «partire da questa tenda e di essere con Cristo» (Fil 1:21-23); chi segue la Via di Dio cammina sulla terra con lui «per aspettare dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, cioè Gesù, che ci libera dall’ira che viene» (1Ts 1:10), ben sapendo che «mentre dimoriamo nel corpo, siamo lontani dal Signore» e dunque, se siamo a lui uniti tramite la fede, «abbiamo molto più caro di partire dal corpo e andare ad abitare con il Signore» (2Cor 5:6-8).

Ci sono due modi per attendere o il giorno della nostra morte, o la fine di tutte le cose: per chi rifiuta gli avvisi e i consigli di Dio, resta soltanto «una spaventosa attesa di giudizio e un ardore di fuoco che divorerà gli avversari» (Eb 10:27); per chi, invece, persevera nella Parola del Signore Gesù e non si tira indietro dal viverla fino in fondo, la buona notizia è: «Ancora un brevissimo tempo, e colui che deve venire non tarderà. E il giusto vivrà per fede» (Eb 10:37-38). In conclusione, diamo l’ultima parola al Signore: «Ecco, io vengo presto e il mio premio è con me, per rendere ad ognuno secondo le opere che egli ha fatto» (Ap 22:12).

 

Valerio Marchi