19 febbraio 2014
L’argomento della ricchezza materiale affascina l’uomo a tal punto che questi (da sempre, possiamo dire) ne rimane sconvolto sia in positivo sia in negativo. Circa la ricchezza, infatti, cristiani e non rizzano le orecchie, hanno l’interiore scosso, si preoccupano: la ricchezza (specie quella altrui) dà fastidio. I ricchi ci fanno macerare l’esistenza perché noi (i non ricchi) li invidiamo. Questo è quello che, in genere, pensano gli uomini. Quanto siamo stolti noi uomini!
Forse che il Signore non ha parlato al riguardo? E appunto perché Dio ha parlato, il cristiano sa perfettamente dov’è la vera ed eterna ricchezza: gl’increduli, viceversa, privi della guida fornita dallo Spirito Santo nella Bibbia, brancolano nel buio, cercando da un lato di afferrare i beni transitori e, dall’altro, di elevarli al rango di idoli della (e nella) propria esistenza. Nel mondo ateo si fa qualunque cosa per il denaro. Il dovere del cristiano, invece, consiste nel predicare ai non credenti di ottenere il vero tesoro, Dio, affinché comprendano la traiettoria sbagliata impressa alla loro vita e giungano al pentimento e alla conversione.
Un’ultima considerazione, prima di dare un rapido sguardo al concetto biblico di ricchezza: alcuni cristiani, assai poco radicati nel vangelo, amano più i beni di questo mondo che quelli dell’aldilà. Ciò non sorprenda, non spaventi e non tragga in inganno: si tratta di cristiani che non si sono mai spogliati del vecchio uomo e che pertanto prestano il fianco a Satana, perdendo il lume della ragione biblica. Giacomo, il fratello di Gesù, ammoniva i fedeli del I secolo in merito alle possibili differenziazioni tra ricchi e poveri esistenti nella Chiesa (Gc 2:1-13). Tale ammonimento è certo adatto a farci comprendere quali tristi conseguenze possano maturare dietro l’idea della ricchezza. Veniamo ora a dare qualche cenno sul concetto biblico di ricchezza. Tale tema è stato trattato a fondo dagli autori sacri così nell’A.T. come nel N.T. Il materiale da analizzare è copioso: qui non possiamo fare altro che procedere per grandi linee, iniziando dall’A.T.
LA RICCHEZZA NELL’A.T.
Nell’antichità ebraica godere dei beni temporali (quali bestiame, schiavi, oro e argento: Gn 13:2; 30:43) era segno particolare della benevolenza divina (1Cr 29:12). Religiosità e ricchezza erano in tal modo strettamente congiunte (si ricordino Abramo, Isacco, Giacobbe, Giobbe e i pii re Davide, Josafat ed Ezechia …).
I profeti, specie Isaia, condannano duramente la schiavitù inumana, la ricchezza disonesta, l’oppressione delle vedove, degli orfani e dei lavoratori da parte dei ricchi. Nei libri sapienziali si loda la ricchezza raggiunta con mezzi onesti (cfr. Prv 10:4; 11:16; 24:4), che porta con sé amici (Prv 14:20; 19:4), onore, una vita sicura (Prv 10:5; 18:11,16), la possibilità di compiere l’elemosina. Tuttavia, sono evidenziati i pericoli insiti nella ricchezza: l’orgoglio (Prv 18:10ss), il peccato, l’insoddisfazione, le preoccupazioni (Prv 17:1; Ecc 2:4-11; 5:9-11).
Più che la ricchezza contano i beni della salute, della libertà, della gioia, della buona fama, del timore di Dio (Prv 15:16), dell’onestà (Prv 16:8), in quanto il ricco non porterà con sé, nell’aldilà, le benedizioni di questo mondo (Ecc 5:12-19). Per di più, viene condannata senza riserve la ricchezza acquisita in modo disonesto (Prv 21:6; 23:4; Os 12:9).
In conclusione, l’A.T., come del resto il N.T., non condanna la ricchezza in sé e per sé, ma l’atteggiamento circa la ricchezza: quest’atteggiamento porta sicuramente lontano da Dio, in quanto crea idolatria nello spirito. Nell’A.T., dunque, Dio è superiore, come valore da perseguire, a ogni ricchezza. La quale, certo, è un bene, ma non il migliore dei beni esistenti. Alla ricchezza sarà certo da preferire la sapienza di Dio, vale a dire il giusto comportamento esistenziale basato sulla sua Parola.
LA RICCHEZZA NEL N.T.
Nell’epoca neotestamentaria il denaro e la filosofia costituivano gli ostacoli più ardui per arrivare alla salvezza ultraterrena. Gesù è la Parola di Dio fatta carne (Gv 1:1,14), il massimo bene, è il tesoro (sia in terra sia in cielo) che dà la vita eterna (Mt 19:21; Gv 6:34; 11:25), il tesoro più grande di tutti i tesori della terra e d’Egitto (Eb 11:26), poiché in lui, e solo in lui, sono nascoste tutte le ricchezze della conoscenza e della sapienza (Col 2:3). Egli è il Signore, che rivela il Regno dei cieli, quel Regno di Dio che costituisce pure il tesoro senza prezzo, la perla preziosa che merita il sacrificio di tutti i beni (Mt 13:44). Cristo mostra appieno l’inconsistenza di tutti i possedimenti umani, per grandi che siano.
Abbiamo già fatto notare come la Bibbia non condanni la ricchezza in sé e per sé, ma il fatto che essa possa essere ottenuta disonestamente e che possa divenire l’obiettivo della vita ed impedire in tal modo di entrare nel Regno di Dio. Nella sua Parola, il Signore colpisce duramente ogni forma di sicurezza e di grandezza provenienti dall’uomo, e capaci soltanto di produrre l’annebbiamento della prospettiva del Regno di Dio: si ricordino il seme che viene soffocato a motivo delle preoccupazioni di questo mondo e delle ansietà della ricchezza (Mt 13:22; Mc 4:19; Lc 8:14), il giovane ricco (Mt 19:16) e il ricco stolto (Lc 12:21; vedi anche Gc 5:3). Con la sua venuta, Gesù chiama a raccolta gli uomini ponendoli di fronte al dilemma: Dio o Mammona? (termine aramaico per “ricchezza”: cfr. Mt 6:24; Lc 12:34: «dov’è il vostro tesoro, là è il vostro cuore»). Nonostante tutto, e come ben sappiamo, Mammona è assai forte (Mt 19:23): l’amore per la ricchezza costituisce, infatti, una delle principali tentazioni per l’uomo.
Perciò, dato questo terribile pericolo, tutti gli esseri umani – poveri e/o ricchi – debbono spogliarsi interiormente di ogni amore verso la ricchezza materiale e riporre unicamente la loro attesa e la loro speranza nel Signore Gesù: coloro che fanno questo sono i “poveri” di/in spirito (Mt 5:3; Lc 6:20).
Il cristiano, discepolo del Signore, è stato colmato da Dio d’ogni ricchezza in Cristo. Taluni di questi doni sono la parola di Cristo e la sua conoscenza (1Cor 1:5), la sua grazia e bontà (Ef 2:7), la soddisfazione completa in lui: difatti, non avremo più né fame né sete (Gv 6:35; 4:14). In Cristo riceviamo le più insigni benedizioni spirituali (cfr. Ef 1:3ss); pertanto, il credente vive nella fede del Signore ponendo la mèta della sua vita nei beni che non periscono, a differenza di quanto accade alle sostanze di questo mondo destinato a passare. Ecco perché il cristiano non deve mai invidiare il ricco di questo mondo, perché la sua povertà è anche la sua ricchezza, giacché egli ha il Cristo. E in Cristo e con Cristo si possiede il tutto (2Cor 6:10; Col 2:9-10). Per Paolo, la ricchezza umana non ha alcun significato: di conseguenza, incita i cristiani ad accontentarsi di quel che possiedono (1Tm 6:6- 8; cfr. Eb 13:5; vedi il Padre nostro in Mt 6:11). Ancora, per Paolo, agognare la ricchezza significa rischiare la salvezza dell’anima (1Tm 6:9-10).
Il cristiano, dunque, spogliatosi di ogni pura ambizione umana relativa alla ricchezza, distaccatosi dai beni terreni, viene chiamato a partecipare con carità alle disgrazie altrui, sempre seguendo l’esempio del Signore Gesù, il quale ha insegnato che «è cosa più felice il dare piuttosto che il ricevere» (At 20:35). Sempre Paolo incita i1 giovane Timoteo a insegnare ai ricchi di questo mondo di essere modesti, umili, pronti a fare il bene, ricchi in buone opere, e di non riporre la loro speranza nell’incertezza delle ricchezze, ma in Dio, il quale dà riccamente (1Tm 6:17-19).
Possiamo concludere affermando che è preciso dovere di ogni cristiano usare della propria ricchezza secondo i comandamenti del Signore, dal momento che egli ce ne chiederà certo conto. Individualmente, dobbiamo esercitare la nostra liberalità nei riguardi di tutti (Mt 25:31; Gal 6:6,10; Eb 13:16).
Arrigo Corazza