26 luglio 2014
Ancor più degli Ebrei (sui quali vedi in questa sezione l’articolo: Libertà dalla legge mosaica), i non-Ebrei (detti “gentili”, oppure “pagani”, dai termini latini gens e pagus “villaggio, borgo, distretto”), lasciati a se stessi, si vedono impossibilitati a raggiungere uno stato adeguato nei confronti della divinità. È proprio vero quanto scritto in Rm 11:32: «Poiché Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza, per far misericordia a tutti». Dio offre a tutti misericordia, salvezza, perché tutti, Ebrei e non, sono rinchiusi nel peccato: i Giudei non possono uscirne per mezzo della Legge mosaica, ma tanto meno i pagani con le sole proprie forze, cioè unicamente attraverso un autogoverno della coscienza.
La coscienza umana, infatti, è come un orologio che va regolato in base ad un riferimento fisso, assoluto: vale a dire, la Parola di Dio (se così non avvenisse, allora sarebbe il caos assoluto: e dimostrazione di ciò è appunto il relativismo odierno). Senza la verità, possiamo in qualche caso andare vicini alla virtù, a qualche accettabile aspetto del nostro rapporto con Dio, ma molto più spesso ne restiamo tragicamente distanti e facciamo naufragio.
È vero che quando, «per natura», in qualche caso adempiamo (pur senza conoscerla) la legge del Signore, dimostriamo che Dio l’ha «scritta» nei nostri cuori (Rm 2:14-15); ma è altrettanto vero che complessivamente ci traviamo con una facilità incredibile, al punto che non possiamo negare la validità dell’affermazione: «Sono corrotti, fanno cose abominevoli; non c’è alcuno che faccia il bene» (Sal 14:1; cfr. Rm 3:12).
I passi contenuti in Rm 1:18ss. elencano senza mezzi termini il degrado etico del mondo greco-romano, nel quale gli uomini, «inescusabili» e «insensati», «dichiarandosi savi, sono diventati stolti», con «una mente perversa», ripieni d’ogni sorta di male. In una sola espressione, ancora, davvero schiavi di se stessi, credendosi liberi ed essendo invece servi delle proprie «passioni infami». Ora, se la presenza di brani biblici quali Rm 1:18-32 impressiona a fondo per lo squallore che descrive, squallore di allora? Che dire dello squallore di oggi? Dunque, non tanto: «Poveri loro, poveri pagani!», quanto piuttosto: «Poveri noi!». Infatti, le aberrazioni descritte da Paolo nel brano citato, se paragonate a quel che si vede in giro oggi, sembrano davvero poca cosa. Si pensi, solo per fare un esempio, alla palese approvazione da parte di molti (individui e Stati) circa l’omosessualità, sempre condannata dalla Parola di Dio (Antico e Nuovo Testamento). Dopo duemila anni di “cristianesimo” non si dovrebbe avere una morale migliore rispetto a quella dei pagani? In una nazione cosiddetta “cristiana” quale la nostra, non si dovrebbe al contrario vivere in modo assai più dignitoso, corretto, pulito, sì da rispettare i valori di Dio e quelli del prossimo? Dov’è andata a finire la “morale” (se davvero c’è n’è mai stata una degna di questo nome) di un tempo?
Il nocciolo della questione è che la creatura umana, priva di Dio, e mossa dalla propria “coscienza”, vive in uno stato di terribile e pericolosa desolazione. E solo il Signore può liberarci dalla nostra «cattiva coscienza», lavandoci «con acqua pura» (Eb 10:22), ossia rigenerandoci completamente a immagine del nostro Creatore (cfr. Col 3:10). Non a caso, il battesimo in Cristo – momento culminante del percorso di conversione – ha fra i suoi aspetti quello della «richiesta di buona coscienza preso Dio», e grazie a ciò «salva anche noi mediante la risurrezione di Gesù» (1Pt 3:21).
L’obiettivo di Paolo era il seguente: «Io mi sforzo di avere continuamente una coscienza irreprensibile davanti a Dio e davanti agli uomini» (At 24:16). È questo sforzo – percorribile con successo unicamente grazie all’aiuto di Cristo – che ci emancipa interiormente, perché solo quando la nostra coscienza è sintonizzata con Dio siamo effettivamente liberi.
Valerio Marchi (2005)