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PENSIERI SULLA PRIMA CORINZI (terza parte)

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Presento una serie di riflessioni sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi scritte nel 1995, ma mai pubblicate finora. Questa è la terza parte.

 

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NEL REGNO VIGE IL MEDESIMO INSEGNAMENTO (1Corinzi 4:16)

«Vi esorto dunque: siate miei imitatori. Appunto per questo vi ho mandato Timoteo, che è mio caro e fedele figlio nel Signore; egli vi ricorderà come io mi comporto in Cristo Gesù, e come insegno dappertutto, in ogni chiesa» (1Cor 4:16-17).

 

La via del Regno è tracciata in Cristo e nei suoi apostoli: occorre imitarli sia nella dottrina sia nel comportamento (cfr. 1Cor 4:16; 11:1; Fil 3:17; 1Ts 1:6). Paolo insegna dappertutto, in ogni chiesa, la medesima dottrina, la “via” del Signore, il nuovo corso della storia umana (1Cor 14:34; 7:17; 16:1; sulla “nuova via”, cfr. At 9:2; 18:25-26; 19:9,23; 22:4; 24:14,22).

Se Paolo insegnava dappertutto la stessa dottrina, allora ci chiediamo: che cosa si immaginavano di trovare, lui o i suoi aiutanti, nel visitare altre chiese di Cristo (la lettera ai Romani fu scritta per preparare la visita di Paolo presso quei cristiani in Roma che non lo conoscevano)? Lo stesso che si aspetta il cristiano odierno e d’ogni tempo: camminare nella verità evangelica e “vedere” le stesse cose che si fanno nella chiesa di cui è membro, visto che i discepoli di Cristo sono uniti nella verità e nella carità, preoccupandosi primariamente di fare qualunque cosa – sia in parola sia in opera – nel nome di Cristo (Col 3:17). Non pensa certo di partecipare all’assemblea di Cristo allo stesso orario di casa oppure che si faccia prima la Cena del Signore e poi la colletta o viceversa, dopo uno o due inni (tutti aspetti secondari e non sistemici o fondanti). Neppure il luogo di riunione ha importanza; ovunque si tenga l’assemblea di Cristo va bene, purché sia secondo i dettami del Signore.

Tuttavia, questo nostro ipotetico cristiano viaggiatore non immagina affatto, visitando una chiesa di Cristo, di trovarsi davanti a officianti in abito talare, a donne che predicano, a immagini sacre con tanto d’incenso, a chitarra / basso / batteria / organo / piano / tuba / tromba / marimba e via di questo passo, oppure davanti a un corpo di ballo o balletto (in ossequio al salmo 150) o a una tavola riccamente imbandita di ogni sorta di prelibatezze …

L’assemblea dei cristiani deve essere “religiosa” (nel senso più stretto e onorevole del termine: facciamo a capirci senza fare i furbi) secondo la norma di Cristo (Col 3:17) e non in nome del sociale, il quale va benissimo a condizione che sia lontano mille miglia dalla Chiesa di Cristo. Se poi a farlo sono i singoli cristiani, allora è proprio un altro paio di maniche: è cosa personale su cui non va messa bocca. Peraltro, a ben guardare, il sociale si attaglia perfettamente anche gli atei o agli agnostici. Non serve la fede per aiutare il prossimo. Il cattolicesimo ha espresso il più duraturo, potente e organizzato sistema sociale. Esso è bensì, e disgraziatamente, nella storia del cattolicesimo, ma non deve comparire in quella delle chiese di Cristo.

 

DIGNITÀ DEL CRISTIANO (1Corinzi 5)

Nel Regno bisogna essere fieri della nuova identità e dignità acquisita in Cristo. Quindi, è necessario resistere al peccato, che facilmente avviluppa (Eb 12:1). Per converso, non si deve contrastare la verità. Piuttosto, dobbiamo lasciarci docilmente guidare da essa, amandola al di sopra e al di là di ogni bene esistente. La vita nuova in Cristo si caratterizza, dunque, per purezza e mancanza assoluta di corruzione; è lievito nuovo (cfr. 1Cor 5:6-8) e non vecchio, pieno di malizia e perversità. La vita del cristiano deve essere quanto più possibile limpida e genuina nella verità del Signore.

Quando nel Regno si procede alla disciplina correttiva (come nel caso di 1Cor 5), è a un unico scopo: la salvezza dell’anima, mèta della fede (1Pt 1:9). Qualunque cosa si faccia nel Regno è in vista dell’edificazione verso l’altezza del Cristo (Ef 4:16ss) per conseguire la salvezza nel Regno celeste. Ora, non risulta possibile crescere e salvarsi in Cristo senza vivere nella purezza richiesta dall’appartenenza a Cristo. Attenzione: beninteso, non si tratta d’impeccabilità (che è solo di Dio Padre e di Dio Gesù Cristo uomo). Essere cristiani significa essere aiutati da Cristo, nostro Sommo Sacerdote, laddove noi non arriviamo («se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi», 1Gv 1:8-10).

 

Sull’edificazione, cfr. Rm 14:19; 1Cor 14:3,12,26; 2Cor 10:8; 12: 19; Ef 4:12.

Sulla salvezza eterna, cfr. 2Tm 4:18; 2Pt 1:1; At 14:22.

 

«Ora alcuni si sono gonfiati d’orgoglio, come se io non dovessi più venire da voi; ma, se il Signore vorrà, mi recherò presto da voi, e conoscerò non il parlare ma la potenza di coloro che si sono gonfiati; perché il regno di Dio non consiste in parole, ma in potenza. Che volete? Che venga da voi con la verga o con amore e con spirito di mansuetudine?» (1Cor 4:18-21).

«Fratelli miei, se qualcuno tra di voi si svia dalla verità e uno lo riconduce indietro, costui sappia che chi avrà riportato indietro un peccatore dall’errore della sua via salverà l’anima del peccatore dalla morte e coprirà una gran quantità di peccati» (Gc 5:19-20).

 

In 1Cor 5 è da notare come Paolo, pur lontano fisicamente, risulti presente in spirito insieme con la comunità di Corinto. Se ne può dedurre – fatta salva ovviamente l’apostolicità paolina, che gli consentiva d’intervenire dappertutto con l’autorità di Cristo (1Cor 4:18-21; 1Ts 2:6; Flm 1:8) – che la vita nel Regno valica, in realtà, le frontiere della chiesa locale: tutta la fratellanza deve essere compresa nei pensieri, preghiere e amore (1Pt 2:17; 5:8-9), preoccupazioni (2Cor 11:28) dei cristiani (il che non tocca, ovviamente, l’autonomia di ogni singola chiesa di Cristo).

È sorprendente notare come Paolo invii i suoi saluti a così tanti credenti in Roma (cfr. Rm 16, ove l’apostolo ne cita una trentina), città da lui mai visitata fin allora. Lo stesso può riscontrarsi in altre lettere dell’apostolo, segno che nella fratellanza non solo ci si conosce, ci si frequenta, ma anche che ci si ama vicendevolmente. Pertanto, il Regno non è una realtà chiusa, ma aperta (mai dimenticando però, e bisogna ripeterlo, tutto il rispetto che si deve all’autonomia di ogni singola chiesa di Cristo). In ciascuna chiesa devono sussistere le condizioni più appropriata alle esigenze del Regno, alla verità, al Signore, al corpo, alla vita eterna promessa in Cristo Gesù, che non delude mai le nostre aspettative (cfr. 2Tm 2:11-13). Quanto Giacomo dice nell’epilogo della sua lettera (5:19-20) vale per tutte le chiese, in tutte le chiese, e per ogni singolo cristiano.

 

IL TEMPO È ORMAI ABBREVIATO (1Corinzi 7)

«Questo dichiaro, fratelli: che il tempo è ormai abbreviato; da ora in poi, anche quelli che hanno moglie, siano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che si rallegrano, come se non si rallegrassero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano di questo mondo, come se non ne usassero, perché la figura di questo mondo passa» (1Cor 7:29-31).

 

Nella nostra vita di credenti (eventualmente, anche in quella matrimoniale) tutto è una tappa verso la mèta finale, cioè la salvezza. Di conseguenza, occorre misurare l’esistenza intera secondo il metro del Regno, dando il primato al Regno di Dio (Mt 6:33). È interessante rimarcare che il Signore aveva già fatto appello al celibato come consacrazione radicale a Dio e al suo regno, da parte di coloro che ne avessero avuto il dono dall’alto (Mt 19:10-12): quindi, senza imposizione, lasciando a ciascuno la libertà di decidere secondo coscienza scritturale e secondo il dono ricevuto da Dio.

Storicamente è noto come il celibato dei preti cattolici risalga al pontificato di Gregorio VII (1073 – 1085), quindi mille anni dopo gli inizi della Chiesa di Cristo (At 2).

Bisogna rispondere all’appello di Dio quale che sia la condizione a quel momento. La libertà consiste nel decidere di consacrarsi in toto al Signore oppure no. I fidanzati possono scegliere di maritarsi, le vedove altrettanto («la moglie è vincolata per tutto il tempo che vive suo marito; ma, se il marito muore, ella è libera di sposarsi con chi vuole, purché lo faccia nel Signore [mònon en kyrìo μόνον ἐν κυρίῳ])», 1Cor 7:39). Ma nessuno può imporre la propria decisione agli altri.

Il Regno esige amore assoluto, decisione e pratica di vita affatto diversi da quelli del passato. Paolo ha fatto la sua scelta al pari di ogni altro cristiano. Il matrimonio è un dono da Dio e altrettanto il celibato (1Cor 7:7). Ciascuno si regoli di conseguenza, ricordando nello stesso tempo che le realtà di questo mondo passano. Il cristiano è chiamato a interrogarsi sul valore di 1Cor 7:29-31, sul tempo ormai abbreviato rispetto al ritorno (parousìa) del Signore Gesù, che porrà termine al presente stato di cose.

 

Sul tempo oramai abbreviato, si veda in questo sito, sezione EDITORIALE del 25 settembre 2021 (o clicca qui sotto).

IL TEMPO RACCORCIATO (1Cor 7:29-31)

 

Arrigo Corazza