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SALVARSI CON TIMORE E TREMORE (Fil 2:12)

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Scrivendo ai cristiani in Filippi, l’apostolo Paolo afferma: «Adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore». Il brano merita di essere analizzato a fondo, in quanto coglie alla radice il valore profondo della salvezza quale risultato della grazia di Dio e della fede operante di chi pecca. La salvezza è l’obiettivo primario del discepolo di Cristo (1Pt 1:9), che ha visto nell’opera salvifica di Dio il più completo atto di amore che possa essere concepito.

 

DUE IDEE FALSE

Fil 2:12 distrugge almeno due false concezioni umane: la prima è che l’uomo non possa fare nulla per ottenere la salvezza; la seconda è che risulta sufficiente fare qualcosa (non importa cosa) per il Signore, purché si faccia qualcosa. Vediamole più da vicino.

L’UOMO NON PUÒ FARE NULLA

La Bibbia insegna chiaramente che il peccatore deve essere attivo al fine di ottenere la salvezza. Ciò non significa, ovviamente, che egli possa salvarsi da solo, vantando meriti propri presso Dio: se così fosse, allora la morte di Cristo sarebbe stata del tutto vana. Essere attivo ai fini della salvezza vuol dire, semplicemente, praticare tutto quel che il Signore richiede per raggiungere quella salvezza che egli ha disposto per grazia (Ef 2:8-10; Tt 3:4-8). In sostanza, il peccatore – riconosciuto che senza la grazia di Dio in Cristo Gesù non ha alcuna speranza – opera intensamente nell’adempimento della volontà divina, sapendo che tale fatica non è vana nel Signore.

È SUFFICIENTE FARE QUALCOSA

Abbiamo detto sopra che si tratta dell’idea secondo cui basti fare “qualcosa” per ottenere la salvezza. Questo tipo di mentalità è assai diffuso oggigiorno. Alla massa, alla gente, non importa sapere se la propria “religione” sia in armonia o no con la Parola di Dio; soprattutto alla gente non piace sentirsi dire che occorre seguire la Parola di Dio, e solo quella. Ognuno vuol fare quel che gli pare. Questo modo tutto umano di considerare la Sacra Scrittura fa sì che si torca la Scrittura stessa, andando in perdizione (2Pt 3:16).

 

COME COMPIAMO LA NOSTRA SALVEZZA?

L’esortazione paolina di Fil 2:12 ci chiede di operare per il compimento della nostra salvezza. Ma come?

ATTRAVERSO L’UBBIDIENZA PERSONALE A CRISTO

Occorre notare come Paolo specifichi chiaramente: «la vostra salvezza». Si tratta di un’esortazione di tipo personale: nessuno può fare per me quello che io devo fare, né io posso fare altrettanto per altri. Il Signore ha detto: «Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14:15). La fede è viva solo quando opera nell’ubbidienza dei comandamenti di Cristo (cfr. Gc 2:14-16). In caso contrario, essa è morta. L’uomo è giustificato dalla grazia di Dio in Cristo Gesù, dalla fede e dalle opere richieste da Dio (Gc 2:17,24). Dunque, la salvezza in Cristo si ottiene mediante la fede personale e ubbidiente al Vangelo di nostro Signore (Rm 6:17-18; Eb 5:8-9; Mc 16:15-16).

 UBBIDENDO CON TIMORE E TREMORE

Il timore di Dio accompagna la nostra ubbidienza verso Dio (Eccl 12:15). Senza timore, l’ubbidienza non è accettevole a Dio (At 10:34-35). “Tremore” traduce l’originale greco tròmos, che indica l’ansietà di chi pensa di non essere in grado di adempiere a dovere le richieste del Signore, ma che in ogni caso – con pia attitudine – cerca di fare il meglio per compiacere il Signore stesso. Di conseguenza, bisogna essere sempre consapevoli della nostra inadeguatezza rispetto a Dio anche nel momento in cui gli rendiamo giustizia: secondo Lc 17:10 siamo pur sempre «servi inutili» (questa traduzione andrebbe precisata: infatti, nel contesto di Lc 17:10 il greco achrèios significa piuttosto “indegno di ricevere lodi particolari”) anche quando svolgiamo il nostro dovere.

Il discepolo di Cristo corre costantemente il rischio di giustificarsi da se stesso. Consapevole di poter dispiacere a Dio (per negligenza, disubbidienza o ribellione), deve rimettersi a lui dimostrandogli piena umiltà. Dio gradisce l’ubbidienza umile e riverente: proprio questo egli chiede al suo popolo (vedi i seguenti passi: Lc 6:46 e Mt 7:21-23).

 

PERCHÉ COMPIERE LA NOSTRA SALVEZZA? PERCHÉ …

LA FEDE È PERSONALE

Abbiamo già visto il concetto: la fede altrui non ci salverà. Il cristianesimo è, per sua natura, la risposta dell’individuo (e non della massa) a Dio. Non si tratta di far parte di un club nel quale gli altri fanno il lavoro al posto nostro (cfr. At 2:47: il Signore, e non l’uomo, aggiunge alla Chiesa, opera divina). 2Pt 1:5-11 elenca le doti che il cristiano deve sviluppare al fine di essere maturo, portare frutti ed evitare il peccato. Secondo Pietro, si è sicuri della propria vocazione ed elezione in Cristo aggiungendo alla fede virtù, conoscenza, autocontrollo, pazienza, pietà, affetto fraterno e amore (vv. 5-7).

IL GIUDIZIO FINALE SARÀ PERSONALE

Le nostre opere saranno giudicate da Cristo nell’ultimo giorno (Rm 2:6). Come nessuno può operare la nostra salvezza, così nessuno sarà giudicato al posto nostro. Ciascuno comparirà dinanzi al tribunale di Cristo per rendere conto a lui, il Salvatore (2Cor 5:10), del proprio modo di vivere. In vista del giorno del giudizio il cristiano deve coltivare l’ubbidienza umile e riverente.

 DIO OPERA IN OGNI CRISTIANO E ATTRAVERSO OGNI CRISTIANO

Quando cerchiamo di fare la sua volontà, Dio opera davvero in noi (Fil 2:13; cfr. Eb 13:21). Il potere di Dio è all’opera nella vita dei cristiani dedicati a lui: essi sono i santi di Cristo (Ef 3:20-21). Quale glorioso pensiero deve albergare in chi crede: essere strumento di Dio per propagare il bene in un mondo piagato dal peccato (Fil 2:14-16). Diventare discepolo di Cristo significa diventare “cristiano”, ed essere “cristiano” significa altresì entrare in relazione con Dio e con altri credenti.

 

Arrigo Corazza